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Sellerio

Rocco Schiavone – Calamari ripieni

Ieri sera si è conclusa la seconda stagione di Rocco Schiavone su Rai 2. Devo ammettere che mi sono appassionata ai libri di Manzini un paio di anni fa, proprio dopo aver visto l’interpretazione di Marco Giallini. 

E ora? Nell’attesa della terza serie (hanno detto che si farà!), andrò a riguardare le repliche su Rai Play. Nel frattempo mi consolo con questi calamari ripieni (ricetta di famiglia) tratti proprio dal libro di Manzini.

Rocco Schiavone

Sono ben cinque le storie che l’allievo di Camilleri, oramai scrittore e attore affermato, ha pensato per Rocco Schiavone nel periodo precedente il suo trasferimento ad Aosta. In ognuna traspare l’indole intransigente e ruvida che lo spinge a seguire sempre la propria coscienza.

Lo sappiamo, la giustizia secondo Rocco va oltre i comma di un codice penale.

A Ferragosto, storia che ritroviamo anche in Ferragosto in giallo edito sempre da Sellerio, ad Ostia una macchina irrompe in una banca. Malvolentieri, il nostro vice questore si reca sul luogo dell’accaduto insieme ad Elena, la collega. Gli consigliano il ristorante “Poisson de mer”. Ma a Rocco, il pranzo non va giù, tanto era scadente. Daje Rocco, che i miei calamari sono più buoni di quelli che hai mangiato al “Poisson de mer”.

Rocco Schiavone

Poisson de mer in realtà era il ristorante di uno stabilimento. Tutto sembrava tranne che uno stabilimento. Il pavimento in pietra arenaria nera, i muri color cioccolata e una serie di tavolini grigi rivestiti di una striscia di cotone bianco e un vaso con un’orchidea. Aveva la stessa personalità di una hall di un Novotel a Cracovia. Un’enorme vetrata dava sulla spiaggia. Qui e lì si vedevano spuntare come funghi le teste degli ombrelloni. Che non erano di stoffa, ma di foglie di palma intrecciate. Era la moda dei lidi come Riccione, Rimini o anche Ostia quella di dare un tocco esotico alla spiaggia per cercare di fare dimenticare lo squallore di un mare sporco, inutile e tetro come un cielo di novembre. C’erano solo quattro clienti con lo sguardo spaurito. Non deponeva a favore.

E infatti. Il solerte cameriere, convinto di essere in forze in un ristorante pluristellato, aveva servito la pasta alle vongole, scotta e piena di sabbia, dentro dei grossi bicchieri da cocktail. Il calamaro ripieno invece in una scatola di legno. Avrebbe fatto migliore figura avvolto in una carta stagnola della Brooklyn, data la sua consistenza gommosa. Il vino imbarazzante e caldo. E mentre pagava i 98 euro del conto, Rocco decise che gli avrebbe mandato i Nas e la finanza. Non necessariamente lo stesso giorno.

Manzini, Antonio, Cinque indagini romane per Rocco Schiavone, Palermo, Sellerio, 2016

 

Calamari ripieni

Dopo i calamari fritti di Erri De Luca, vi propongo un’altra ricetta di pesce.

Ingredienti per 4 persone:

  • 8 calamari di medie dimensioni, inclusi i tentacoli
  • 1 confezione di polpa di pomodoro
  • 2 uova
  • 1 cipolla
  • mezzo mazzo di prezzemolo
  • aglio (a piacere)
  • 8 cucchiaini di pinoli
  • 8 cucchiaini di pangrattato
  • 4 cucchiaini di parmigiano reggiano
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 1 foglia di alloro
  • timo
  • olio extra vergine di oliva
  • sale

Preparazione:

  • Lavate bene i calamari. Spellateli, facendo attenzione a non romperli perché altrimenti il ripieno rischia di fuoriuscire in cottura.
  • Tagliate i tentacoli piccolissimi. Soffrigeteli in padella con un filo d’olio. Mettete il coperchio: l’acqua del calamaro aiuterà la cottura. 
  • Nel frattempo in una ciotola preparate il ripieno. Mescolate pangrattato, pinoli, prezzemolo sminuzzato, uova , parmigiano, aglio tagliuzzato, i tentacoli cotti e da ultimo le uova sbattute. Amalgamate bene. 
  • Riempite i calamari per 1/4 della loro lunghezza. Chiudeteli con uno stuzzicadenti. 
  • Non preoccupatevi se vi avanza del condimento. Anzi! Aggiungetelo al pomodoro, darà un sapore più intenso ai nostri calamari.
  • In un tegame capiente, affettate la cipolla e appassitela con l’olio. Aggiungete i calamari. Dorateli da ambo le parti. Irrorate di vino bianco e fate evaporare. 
  • Versatevi il ripieno avanzato. Fate insaporire qualche istante, Quindi versate la polpa di pomodoro. Aggiustate di acqua- se occorre- e di sale. Ricordatevi la foglia di alloro e il timo. 
  • Cuocete a fuoco moderato con il coperchio per un’oretta circa. Eventualmente verificate con uno stecchino la loro cottura.

 

La gita a Tindari – Pasta con sugo di carne

Come i rami contorti di un ulivo centenario sui quali Montalbano si sdraia per districare i pensieri, così Camilleri concepisce La gita a Tindari. Noi, piano piano, percorriamo ogni scanalatura, ogni asperità di quel tronco invecchiato. Fino a scoprire un dedalo di connessioni agghiaccianti che coinvolgeranno potenti e bambini innocenti.

I coniugi Griffo sono scomparsi e Nené Sanfilippo è morto ammazzato. I tre abitano nello stesso condominio. Una coincidenza? Certo che no. Per il commissario di Vigata non lo è mai.

Nel frattempo l’investigatore siciliano viene ammaliato dalle donne, dai libri di Manuel Vázquez Montalbán, dal quale il celebre commissario prende il nome. E naturalmente dal cibo.

È ora di pranzo e Montalbano ha un certo appetito. Autoinvitarsi pare brutto…

sugo

Lei mangiò, Commissario? 

“Veramente, ancora no.” Fece Montalbano sentendo il cuore aprirsi alla speranza.

“Allora non c’è problema” concluse la signora Guarnotta “s’assetta con noi e si mangia un piatto di pasta. Accussì parliamo tutti meglio”

La pasta era scolata al momento giusto ( “sapiri quann’è u tempu di sculari a pasta è un arti” aveva un giorno sentenziato la cammarera Adelina), la carne col suco era tenera e saporosa.

Ma, a parte d’essersi riempito la panza, il commissario, per quanto riguardava la sua indagine, fece un altro pirtuso nell’acqua. 

CAMILLERI Andrea, La gita a Tindari, Palermo, Sellerio, 2000

La gita a Tindari – Pasta con sugo di carne

Ingredienti:

  • 400 g carne da sugo
  • 400 g passata di pomodoro
  • 1 costa di sedano
  • 1 carota
  • 1 cipolla
  • 1 rametto di rosmarino
  • 1 foglia di alloro
  • 1 foglia di salvia
  • pasta a piacere
  • olio extra vergine di oliva
  • sale

Preparazione:

  1. Tritate il sedano, la carota, la cipolla e un rametto di rosmarino. Rosolate il trito di verdure in un tegame, meglio se di terracotta, con olio.
  2. Dopo qualche istante, aggiungete i pezzi di carne che dovranno prendere colore. Quindi irrorate con un bicchiere di vino rosso e far evaporare l’alcool. A questo punto versate la passata di pomodoro, unire alloro, salvia ed aggiustare di sale.
  3. Quando l’olio sale in superficie, il sugo è cotto!
  4. Diluite il sugo con mezzo bicchiere d’acqua, per renderlo più liquida. Portate il sugo ad ebollizione, abbassate la fiamma e lasciar cuocere lentamente. Dopo circa un’ora, un’ora e mezza, il sugo è pronto. A parte cuocete la pasta, scolatela e servitela con il sugo.

 

Zuppa di fagioli | Sei casi per Petra Delicado

zuppa di fagioli

Petra Delicado è un’ispettrice dal carattere forte e ostinato. Scontrandosi con colossali remore culturali, è determinata a stabilire un rapporto paritario tra uomini e donne. Conduce le indagini assistita dalla solidale e colorita collaborazione del vice ispettore Fermin Garzon. In un caso però viene coadiuvata dai tre bambini di suo marito, più intraprendenti di lei nel voler trasformare una tranquilla vacanza in un intricato film poliziesco.

La vediamo al lavoro in diversi frangenti. Il rito del barboso cenone natalizio, con parenti semi sconosciuti, viene interrotto da un omicidio in un ospedale ad opera di Babbi Natale travestiti. Vista la sua bravura investigativa, è chiamata a fare luce sull’uccisione della moglie di un noto commissario catalano, divenuto primo indiziato. Deve scovare l’assassino in mezzo ad una sfilata di carnevale e superare l’omertà che aleggia attorno alla morte di una principessa decaduta. Infine si addentra nelle contraddizioni del mondo scolastico per trovare il responsabile del decesso di una studentessa.

Forse è quest’ultima la storia più delicata del libro. Qui si infervora per il ruolo sociale che la scuola dovrebbe rivestire e che, per diverse ragioni, non ricopre. Si arrabbia per la società capitalista fredda e spietata, incentrata ad accumulare ricchezza attraverso il lavoro. Un’esistenza vissuta con l’obbligo parossistico di lavorare. Questo senso quasi calvinista del dovere diventa il motore che muove ogni azione, tralasciando figli, salute, affetti.

Osservando da vicino la società nobiliare, Garzon e la Delicado si trovano a confrontare la ricchezza smisurata posseduta da alcuni e la loro vita da persone comuni. Ma una calda zuppa di fagioli non ha prezzo.

«Lei crede che la principessa fosse più felice di noi nella sua vita da quartieri alti?». «Neanche per idea! Mi guardi, e guardi quella bella zuppa di fagioli fumante che tra un attimo sarà nel mio piatto. Crede che cambierei un piacere simile con qualcos’altro al mondo? »

Traduzione Maria Nicola, Giménez-Bartlett, Alicia, Sei casi per Petra Delicado, Palermo, Sellerio editore, 2015

 

Zuppa di fagioli

 

Per realizzare questa zuppa di fagioli ho usato dei cannellini secchi, ammollati tutta la notte in acqua e una puntina di bicarbonato. Per praticità, potreste scegliere dei fagioli in scatola. È consigliabile aggiungere sempre una foglia di alloro durante la cottura dei legumi, così da renderli più digeribili. Se non gradite la cipolla, sostituitela con dello scalogno. Per creare un’invitante cremina con cui amalgamare la pasta, frullate qualche cucchiaio di zuppa di fagioli. Potete servire la zuppa con della pasta corta o fette di pane casareccio.

Ingredienti per 4 persone:

  • 250g fagioli secchi cannellini
  • 1 scatola polpa pomodoro
  • 2 carote medie
  • 1 cipolla media
  • un mazzetto di bietole
  • 1 foglia alloro
  • qualche foglia salvia
  • 200g pasta corta
  • sale
  • peperoncino a piacere
  1. In un tegame appassite la cipolla con 4 cucchiai d’olio. Aggiungete il pomodoro a pezzetti, le bietole lavate e tagliate e le carote a rondelle. Lasciate insaporire per qualche minuto.
  2. Aggiungete i fagioli secchi ammollati, alloro e salvia. Coprite con acqua e salare. Cuocete per circa 40 minuti o comunque il tempo indicato nella confezione dei fagioli.
  3. A parte bollite la pasta e conditela con la zuppa. Servite ben calda con un filo d’olio a crudo e del peperoncino essiccato.

Gelo di anguria | Un filo d’olio

 

gelo di anguria

Da maggio a settembre di ogni anno, la famiglia del barone Agnello amava trascorrere le vacanze estive a Mosé, la tenuta di campagna nell’agrigentino. La scrittrice ci fa rivivere, in pieni anni Cinquanta, le sue estati da bambina, il cui tempo viene scandito dalla stagionalità di una natura incontaminata. Ad ogni pagina amalgama ricordi diversi con parenti, amici e tanto cibo.

Seduti attorno a grandi tavolate, vengono degustate inimmaginabili prelibatezze. Le eclettiche melanzane sono rielaborate in polpette, cotolette o trasformate in superbe caponate e parmigiane. In quella grande cucina sempre in fermento, si preparano verosimili falsi, come il formaggio poco stagionato chiamato tuma, cucinato all’argentiera. Infatti, se mangiato ancora caldo, si camuffa perfettamente in un succulento filetto. Si percepisce il profumo della finta trippa di frittatine gialle, che non aveva niente da invidiare al piatto originale. Immancabili i dolci come la zuppa inglese imbevuta di liquore di alchermes e farcita con crema pasticciera, pere cotte e cannella. E ancora biscotti, pasticciotti, panzerotti ripieni di ricotta e cioccolato…

Passano gli anni, Simonetta cresce e, viste anche le difficoltà economiche della famiglia, partecipa volentieri alla gestione della cucina. Qui scopre trucchi, segreti, accorgimenti come l’onnipresente filo d’olio a crudo che conferisce vigore ad ogni sorta di pietanza.

Giunti alla conclusione del libro con l’acquolina in bocca, abbiamo l’occasione di consultare le 28 ricette incontrate durante la lettura, sapientemente approfondite dalla sorella Chiara Agnello.

Così, in qualsiasi parte del mondo ci troviamo, sembrerà anche a noi, come a lei, di assaporare il caldo aroma di quelle estati a Mosé.

L’altro dolce di piena estate era il gelo di mellone, ovvero di anguria. Mi piaceva spremere la polpa con le mani, pigiarla contro la superficie bucherellata del vecchio passapomodoro di alluminio – una specie di grattugia senza denti – e ascoltare il gocciolìo del succo sul metallo; spremevo fin quando in pugno non mi rimaneva altro che un malloppo di fibre e semi neri – una leccornia per le galline di Rosalia. 

Agnello Hornby, Simonetta, Un filo d’olio, Palermo, Sellerio editore, 2011.

 

Gelo di anguria

 

Tra le tante ghiottonerie presentate nel libro, come già preannunciato nell’articolo su Il Secolo XIX, il gelo di anguria mi sembra perfetto per tirare un sospiro di sollievo dalla calura estiva. Chiara Agnello consiglia di spremere la polpa attraverso un passapomodoro o una centrifuga. Non possedendo il secondo attrezzo, ho optato per il primo e i risultati sono stati rapidi ed eccellenti comunque! La lista degli ingredienti è riportata integralmente come nel libro; la preparazione è invece sinteticamente rielaborata.

Ingredienti:

  • 1l di succo di anguria
  • 60g amido
  • da 80g a 250g zucchero (secondo la dolcezza del frutto)
  • 80g-100g cioccolato a pezzetti

Preparazione:

  1. Tagliate l’anguria a tocchetti e passarla nel passapomodoro, fino a ricavarne 1 litro di succo.
  2. In una casseruola sciogliete l’amido nel liquido appena ottenuto, continuando a girare fino a quando la polvere non si sia completamente dissolta, senza grumi. Aggiungete lo zucchero. A questo punto mettete sul fornello, dapprima a fiamma bassa per circa 7-8 minuti, successivamente a fuoco medio per 5 minuti, senza smettere mai di mescolare.
  3. Quando il composto diventa molto denso, versatelo nelle rispettive ciotoline alternando strati di gelo di anguria a pezzetti di cioccolato. Lasciate raffreddare prima di conservare in frigorifero.

Un fresco gelo di anguria rappresenta per Simonetta Agnello Hornby l’estate di quando era piccola. E la vostra estate, com’era? C’è qualcosa in particolare che vi ricorda quel periodo?